1. Gestione delle aree di Uso Civico, protezione della biodiversità e salvaguardia del paesaggio: il case study dell’allevamento e monticazione della Vacca di razza Rendena nei territori a proprietà collettiva in Provincia di Trento. Un approccio ecologico ed antropologico, di FEDERICO BIGARAN, Direttore Ufficio per le Produzioni Biologiche Provincia Autonoma di Trento, e MARTA VILLA, PhD Contemporary Anthropology, Collaboratore Dipartimento Sociologia e Ricerca Sociale Università degli Studi di Trento e Candoc Research Università della Svizzera Italiana – Labisalp.

   Abstract. Il Trentino ha una lunga tradizione nella gestione comune dei pascoli montani. Attualmente la gestione di questi territori è affidata per lo più alle Amministrazioni Separate di Uso Civico (ASUC), i cui organi decisionali sono eletti dagli abitanti aventi diritto sull'uso della terra comune.
   La superficie interessata dalle ASUC in Provincia di Trento rappresenta il 54% dell'intero territorio. Vi sono evidenze di rilevanti sovrapposizioni tra pascoli a gestione comune ed aree protette, compresi i parchi nazionali e regionali, le aree di Natura 2000 della UE e le aree che vantano riconoscimenti da parte di organismi internazionali (UNESCO). L'istituzione della gestione comune di terreni e lo sviluppo del sistema delle ASUC risponde al bisogno, storicamente documentato, che gli allevatori hanno di amministrare collettivamente le risorse strategiche: questo determina benefici indiretti (mantenimento della biodiversità e del paesaggio tradizionale) che oggi risultano anche economicamente rilevanti per il turismo. La quantità e qualità del patrimonio zootecnico presente in un determinato territorio rappresenta un indice di vitalità e di conservazione del territorio stesso e costituisce elemento di attrattività e di equilibrio se ben amministrato. La conservazione del paesaggio culturale della montagna è quindi connessa sia con l'esistenza di razze rustiche locali, ben adattate a vivere per diversi mesi sui pascoli, sia con una attenta gestione collettiva del territorio da parte delle comunità locali. Lo scopo di questo lavoro di ricerca è quello di indagare il rapporto tra il sistema di allevamento della vacca locale di razza Rendena e la protezione attiva del paesaggio attraverso la gestione comune dei pascoli.
   L’indagine si è proposta di verificare per l’intera superficie provinciale la sovrapposizione delle aree di gestione comune con le aree protette. E’ stata poi approfondita come case study la zona della Val Rendena e in particolare tutti i terreni di proprietà collettiva (ASUC) che si avvicinano il più possibile ai confini del territorio del Parco Naturale Adamello Brenta (PNAB). E’ stata infatti considerata la situazione delle zone a pascolo e delle malghe dove la Vacca Rendena è allevata e monticata. Attraverso interviste e osservazioni partecipate è stata data voce agli allevatori, ai malgari, ai presidenti delle ASUC e ai membri degli organi di governo ed infine anche agli amministratori locali (sindaci ed assessori) ed alla presidenza e direzione del PNAB. Il metodo etnografico ha permesso di portare alla luce il sapere locale tradizionale legato a questa gestione particolare del paesaggio e alla cura di questa vacca, i punti di forza di questo sapere, volto anche alla conservazione del patrimonio architettonico della montagna e il suo ruolo chiave per la salvaguardia della biodiversità naturale.
   
   Bibliografia minima
   Bronzini L. (2001), Valorizzazione multifunzionale degli alpeggi del Parco Naturale Adamello Brenta, PNAB, Trento.
   Bronzini L. (2005), Le malghe nel Parco, dal dopoguerra ad oggi - Analisi tipologica e di uso del suolo, PNAB, Trento.
   De Moor, T., (2015), The dilemma of the commoners. Understanding the use and management of common-pool resources in long-term perspective, Cambridge, University Press.
   Grossi P. (2017), Un altro modo di possedere, Milano, Giuffré.
   Ricoveri, G. (2005), Beni comuni fra tradizione e futuro, Bologna, Emi.
   Varotto M. e Castiglioni B. (a cura di), Di chi sono le Alpi? Appartenenze politiche economiche e culturali nel mondo alpino contemporaneo, Padova, Padova University Press.

2. I beni dell’”Allmende” in provincia di Bolzano tra i principi di grande riforma economico-sociale della legge n. 168/2017 e lo statuto di autonomia, di HANSJÖRG SILBERNAGL, avvocato, direttore dell’Area Servizio legale per il territorio dell’Avvocatura della Provincia Autonoma di Bolzano.

   Riassunto. Riflessioni per individuare lo spirito della legge da applicare all’”Allmende” valorizzando le autonomie locali e potenziando un necessario organo di vigilanza, tutela e consulenza, quale fonte di sinergie per uti cives ed organi amministratori, alla luce dello statuto speciale di autonomia.

3. La tutela del demanio civico e dei diritti della collettività residente: commento a sentenza del Commissario agli usi civici di Roma n. 17 del 12.03.2018, di CLAUDIA FEDERICO, avvocato del Foro di Roma.

4. PARTICOLARITÁ STORICO-GIURIDICHE DEL DOMINIO COLLETTIVO di ROVER-CARBONARE - Maso e Colmello della Magnifica Comunità di Fiemme nel periodo storico dall'anno 1300 circa all'anno 1819 -, di ITALO GIORDANI, storico, cultore della materia.

5. "Ce l'abbiamo nel DNA?" Genetica e storia fra le proprietà collettive della pianura Padana, di ALESSIO BOATTINI, STEFANIA SARNO, DAVIDE PETTENER, DONATA LUISELLI, del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.

   Riassunto. Il DNA può essere considerato un archivio biologico che rispecchia la storia di una popolazione. Le proprietà collettive, con le loro diverse caratteristiche, rivestono grande interesse per la genetica di popolazioni umane: sono popolazioni-modello in cui perdura quel legame fra uomo e territorio che risulta allentato, se non scomparso, in gran parte delle altre comunità.
   Presentiamo nuovi risultati sulla variabilità genetica delle Partecipanze di S. Giovanni in Persiceto, Nonantola e S. Agata Bolognese (province di Modena e Bologna), degli Antichi Beni Originari di Grignano Polesine (Rovigo) e del Consorzio Uomini di Massenzatica (Ferrara).
   Mostriamo come questi risultati permettano d'indagare sull'origine di queste comunità e, allo stesso tempo, di chiarire aspetti poco noti della storia genetica italiana.

6. Il ruolo delle consuetudini per l’accertamento della natura soli. Le controversie demaniali fra la famiglia Altieri e le comunità di Canale Monterano e i loro effetti sul territorio attuale, di DANIELE NATILI, Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto pubblico romano (Prof. Massimiliano Vinci), nel Dipartimento di Storia, Patrimonio culturale, Formazione e Società dell’Università di Roma Tor Vergata.

   Abstract. Nel corso del contensioso per la qualitas soli di una parte della Riserva Naturale Monterano, deciso con Sentenza del 3 ottobre 2017 del Commissario per gli usi civici per Lazio, Toscana e Umbria, è sorta la questione sulle ragioni storiche che possano spiegare l’attuale intestazione catastale delle terre contestate: “Comune e Agricoltori di Canale Monterano”.
   La presente ricerca espone i primi risultati dell’analisi dei documenti archivistici relativi alla storia del demanio civico di Canale Monterano. Da tale, ricca documentazione è emerso un collegamento fra l’origine consuetudinaria dei diritti collettivi sulle terre del feudo di Monterano, il carattere identitario degli stessi e le risultanze catastali. Il ruolo delle consuetudini, risalenti agli statuti cinquecenteschi del Ducato di Bracciano, fu riconosciuto, infatti, nel corso dell’Ottocento in una serie di controversie rotali fra la popolazione e i principi Altieri, all’epoca titolari del feudo di Monterano. A loro volta, le sentenze della Sacra Rota – peraltro conseguenti all’impulso dato alle rivendicazioni della popolazione da una sentenza del Tribunale di Civitavecchia (del 5 aprile 1838) – costituirono il titolo storico- giuridico per l’intestazione delle terre civiche in capo al ceto degli Agricoltori del futuro Comune di Canale Monterano.

7. Le proprietà collettive e il calo demografico degli aventi diritto. Una riflessione, di ALBERTO REGGIANI, presidente della Partecipanza di Nonantola (MO).

   Riassunto. La Partecipanza Agraria di Nonantola, in Provincia di Modena, è una proprietà collettiva formata da uomini e donne discendenti dalle antiche famiglie alle quali, nel 1058, l’abate Gotescalco del monastero di S. Silvestro di Nonantola, concesse in enfiteusi perpetua una vasta estensione di terreno, in gran parte boschi, prati e paludi, in cambio della costruzione di parte delle difese del monastero e del vicino borgo e dell’obbligo di residenza (incolato). Nella “Charta”, oggi conservata presso l’archivio abbaziale, si stabiliva la trasmissione del diritto ai discendenti maschi e si prevedevano una serie di ulteriori diritti individuali tra i quali la libertà personale.
   Questa condizione favorì lo sviluppo di una comunità coesa e determinata a difendere il privilegio ottenuto, ma anche strutturata per prendere decisioni collettive per lo sviluppo economico e sociale del paese. È da questo germe identitario che nel XIII secolo nasce il Comune di Nonantola, che oggi, nel vigente Statuto “riconosce nella storia della Partecipanza Agraria di Nonantola la sua radice culturale più profonda e pertanto promuove e realizza con la Partecipanza un ampio e positivo rapporto di collaborazione”.
   Per diversi secoli la Partecipanza Agraria coincise, dal punto di vista istituzionale, con l’intera comunità di Nonantola e solo nel corso del XIX secolo gradualmente si distaccò dal Comune. Con la legge n. 397 del 4 agosto 1894 fu istituita quale Ente Morale stabilendo così la propria autonomia e i propri organismi di governo.
   La Partecipanza Agraria, dalle origini fino agli anni ’60 del secolo scorso, ha rappresentato la maggior parte della popolazione nonantolana e, naturalmente, ha influenzato fortemente lo sviluppo del paese sotto l’aspetto sociale, economico e politico. Anche oggi, pur rappresentando una parte minoritaria della comunità, a livello storico, culturale, agricolo ed ambientale è un punto di riferimento per tutti i cittadini di Nonantola.
   Dopo aver attraversato quasi un millennio di storia in cui ha superato innumerevoli minacce di carattere socio-politico e dissesti economici, la Partecipanza oggi si trova ad affrontare un pericolo grave, complesso da fronteggiare, che in un futuro non troppo lontano mette a rischio la sua sopravvivenza: il calo demografico dei Partecipanti.

8. “Legge 168/2017, art. 2, c. 1: Le terre collettive rigermogliano economie, estetiche e pratiche ecologiche contemporanee”, di GIORGIO PIZZIOLO, professore nell'Università degli studi di Firenze e nell'International Institute for Advanced Studies in System Research and Cybernetics, Ontario Ca.

   Abstract. Le collettività locali, finalmente riconosciute, autogestiscono i loro beni proprio nella loro profonda natura ambientale sistemica ed eco-paesistica di interesse locale e nazionale, .considerati come comproprietà intergenerazionale.. Ciò comporta che la gestione di tali beni e del loro territorio sia condotta con logiche economiche ed estetiche su base ecologica ,verso economie circolari contemporanee. Inoltre ciò comporta anche un’assunzione di responsabilità di grande rilevanza. Questa nuova condizione peraltro può fare delle Terre Collettive la punta più avanzata del rinnovamento ecologico del territorio e dell’economia italiana del nuovo millennio, anche in rapporto all’estensione della loro diffusione a scala nazionale, capace di attivare una rigenerazione che può arrivare a coinvolgere anche i territori limitrofi e le relazioni stesse con la città, in vista della ricostruzione di strutture territoriali ecosistemiche (Bioregioni, Ambienti di Vita , Città/Paesaggio) proprio partendo dallo sviluppo delle loro pratiche agro-silvo- pastorali nella chiave di un’agricoltura multifunzionale e di eco/servizi alle comunità. La nuova condizione delle Terre Collettive può dare luogo a forme di democrazia partecipata, proprio in funzione della loro autogestione, di cui si sente una grande necessità, anche a livello più generale.

9. Il ruolo della donna negli assetti fondiari collettivi: dalla separazione all’integrazione, di FIORE FONTANAROSA, docente di Comparazione giuridica e uniformazione del diritto nell’Università del Molise, Campobasso.

   Abstract. Negli assetti fondiari collettivi si registra, talvolta, una disparità giuridica tra l’uomo e la donna, in termini di esercizio dei diritti di comproprietà. L’analisi del rapporto maschio/femmina all’interno delle proprietà collettive, italiane e straniere, mette in luce come spesso il ruolo della donna non possa considerarsi paritario, bensì subalterno rispetto a quello rivestito dall’uomo. Tali differenze si riscontrano, sia rispetto al diritto di accedere al suolo, sia con riferimento ai requisiti previsti per entrare a far parte della collettività locale.

10. Gli indigeni fra noi: le antiche proprietà collettive italiane come sistemi socio-ecologici integrati nel mondo moderno: il contributo della socio-ecologia per un nuovo impulso nella gestione sostenibile delle proprietà collettive, di SILVIA SCOZZAFAVA, eccologa, MSc, PhD, Director's Technical Staff Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga (Italy)

    Sommario. Le comunità umane nel mondo instaurano relazioni complesse con l’ambiente, con modalità culturalmente specifiche, producendo un “continuum” di relazioni ecosistemiche e sociali che generano risultati positivi in termini di biodiversità: i cosiddetti “paesaggi culturali”, ecosistemi in cui l’effetto dell’azione umana è integrato nel funzionamento complessivo dell’ecosistema. In tali contesti, la conservazione dei valori naturali deve necessariamente tenere conto anche dei fattori culturali locali, aspetto questo sempre più tenuto in considerazione dagli “addetti ai lavori”, e che va sotto il nome di socio-ecologia.
    In molti casi, antiche forme di proprietà collettiva, o usi collettivi di risorse specifiche, sono una caratteristica di questi sistemi socio-ecologici; ci riferiremo per brevità ad essi come Proprietà Collettive secondo la denominazione adottata da Bassi (2012). Il ruolo delle Proprietà Collettive nella creazione e mantenimento di agroecosistemi ad elevata biodiversità è spesso trascurato e non adeguatamente investigato sotto il profilo ecologico.
    Recentemente, il concetto di Servizi Ecosistemici ha aperto nuove possibilità di analizzare e valorizzare le relazioni fra le comunità umane e l’ambiente. Adeguate strategie di gestione delle PC possono essere viste come modi di generare Servizi Ecosistemici per la comunità vasta, oltre a provvedere risorse specifiche per la comunità locale in modo sostenibile, in quello che dovrebbe essere un equo scambio fra comunità locale e comunità nazionale e globale.
    Alla luce della nuova L. 168/2017 questa sembra essere una direzione promettente per rispettarne il mandato di protezione ambientale. Occorre quindi non solo evidenziare il valore sociale dei Servizi Ecosistemici, ma anche il valore ecologico dei processi sociali che lo hanno generato.

11. Alimentazione locale, usi civici e diritto di sopravvivenza a Oniferi (U), di FABIO PARASCANDOLO, professore di Geografia del paesaggio e dell’ambiente, Dipartimento di Storia, beni culturali e territorio, Università di Cagliari.

    Abstract. Considerazioni sulle relazioni istituibili tra l’ancestrale diritto alla sopravvivenza collettiva, esercitato per lunghi tempi storici con le proprie sapienze e risorse ambientali dagli abitanti di Oniferi, piccola località della Barbagia di Nuoro, e il diritto al cibo, locuzione impiegata nel dibattito internazionale contemporaneo da giuristi ed esperti di questioni socio-economiche inerenti sia l’alimentazione umana che il tema trans-disciplinare dei beni comuni (commons).

12. La gestione collettiva delle risorse naturali nella regione spagnola di Murcia, Studio storico-giuridico, di SIMONE ROSATI, Assistant Professor Facultad de Ciencias Humanas, Canónicas y Religiosas, Universidad católica San Antonio de Murcia (Spagna).

    Abstract. La proprietà collettiva costituisce non solo un’alternativa antropologica e giuridica alla proprietà individuale ma anche una precisa alternativa nella gestione delle risorse naturali rispetto al modello individualistico. Soprattutto dopo la Legge 168/2017 sui Domini Collettivi, il ruolo costitutivo delle comunità locali nella gestione del patrimonio collettivo è divenuto un tema essenziale nel garantirne una trasmissione responsabile di generazione in generazione. Aderendo al provvido invito del Centro studi di Trento di fornire possibili modelli di governo alle comunità locali dopo la rivoluzione storico-culturale aperta dalla Legge 168/2017, il presente lavoro si propone di offrire un contributo a tale fertile dibattito presentando la storia secolare della Huerta di Murcia (Spagna) che ancora oggi rappresenta – come hanno dimostrato le indagini economiche di Elinor Ostrom – una efficace forma di governo dei beni collettivi.

13. I “domini collettivi” delle popolazioni tradizionali brasiliane sono in pericolo?, di GIROLAMO DOMENICO TRECCANI, dottore in Sviluppo Sostenibile del Tropico Umido per il Nucleo di Alti Studi Amazzonici e professore di Diritto agrario nell’Istituto di Giurisprudenza della Università Federale del Pará.

    Riasssunto. Negli ultimi decenni le popolazioni tradizionali brasiliane (popoli indigeni, «quilombolas» e «agro-extrativistas») hanno guadagnato visibilità dopo secoli di «invisibilizzazione».
    Grazie alla loro organizzazione sono riuscite a garantire il riconoscimento dei loro diritti territoriali strettamente legati alle loro identità. Milioni di ettari gli sono stati riconosciuti. Attualmente questi diritti sono oggetto di vari attacchi da parte del potere esecutivo (rallentamento degli atti di riconoscimento), legislativo (Progetti di Legge che negano questi diritti) e giudiziario (decisioni contrarie ai suoi diritti).
    Questa situazione si aggrava oggi con la spedizione di migliaia di titoli individuali o la celebrazione di Contratti individuali incidenti sui loro territori collettivi.

14. Il ruolo della toponomastica storica nel ricostruire i dominii collettivi: due esempi, di FURIO CICILIOT, presidente della Società Savonese di Storia Patria, direttore del Progetto Toponomastica Storica.

    Sommario. Pur con tutte le precauzioni dovute ad una materia particolarmente infida, la toponomastica storica rappresenta una fonte primaria insostituibile per la ricerca storica e giuridica di un territorio. Un toponimo - se verificato con fonti archeologiche, monumentali o ambientali - può informarci su una località e la sua origine o sviluppo.
    In particolare, la toponomastica storica può aiutarci a definire domini collettivi in aree e/o periodi storici di cui non esistono altre fonti. Nel nostro breve contributo riporteremo sinteticamente due esempi toponomastici che, a nostro avviso, meriteranno analisi più approfondite.
    Il primo è rappresentato dal toponimo Mons, già in documenti del pieno medioevo accomunato ad un vicus: Albissola Marina (Sv), 1179, mons Vici; Mondovì (Cn), 1262, mons Vici. In un numero notevole di casi il toponimo Monte, senza altre specificazioni, si trova alle spalle immediate di insediamenti romani o altomedievali.
    Numerosi sono anche i monti specificati da nomi di persona (Mombasiglio, Mombercelli, ecc…). Giandomenico Serra ebbe l’impressione che monte non avesse un esclusivo valore semantico legato alla geografia fisica – spesso i Monti non sono particolarmente prominenti - ma che ne incorporasse anche uno legale nell’ambito dei domini collettivi.
    Il secondo esempio è rappresentato dalla locuzione gamahalos, id est confabulatus contenuta nell’editto di Rotari (capitolo 362) in cui fabula dovrebbe riferirsi ad accordi (fabula quae inter vicinus est, 346) su possibili aree di utilizzo comune. La linguista Nicoletta Francovich Onesti spiega ga come suffisso collettivizzante e mahal come un derivato di mallum (patto).
    Numerosi toponimi di area ligure-piemontese schedati nel Progetto Toponomastica Storica sembrano avere attinenza con tale termine longobardo: Bagnasco (Cn), 1033, turris Gamalonie; Stella (Sv), 1214, Oddo de Gamalagna; Parodi Ligure (Al), 1261, Gambaronus; Cairo Montenotte (Sv), 1322, Gambararius; Sale San Giovanni (Cn), 2018, Gamellona; Plodio (Sv), 2018, Gamellona. Si tratta forse di domini collettivi precedenti espressi con un nome longobardo?

    Bibliografia.
    Giandomenico Serra, Contributo toponomastico alla teoria della continuità nel Medioevo delle comunità rurali romane e preromane dell’Italia superiore, Cluj 1931 (anastatica, Spoleto 1991), passim.
    Nicoletta Francovich Onesti, Vestigia longobarde in Italia 568-774. Lessico e antroponimia, Roma, Artemide 2000, 2ª ed., p. 90.

15. Presentazione delle ricerche in corso in materia di storia delle risorse collettive e progettazione del futuro del territorio, di ALESSANDRA BULGARELLI, professore di Storia economica, Dipartimento di Scienze economiche e statistiche, Università degli studi di Napoli Federico II.

    Riasssunto. La presente proposta si articola su due piani distinti. Il primo riguarda la presentazione delle ricerche in corso in materia di storia delle risorse collettive, il secondo è relativo ad un’ipotesi operativa finalizzata a rendere fruibili per gli operatori e tutti gli stakeholders le acquisizioni storiche in vista di un utilizzo nel presente e/o nella progettazione del futuro del territorio.