LA LEGITTIMAZIONE DELLE OCCUPAZIONI ABUSIVE DELLE TERRE D’USO CIVICO E LA LEGISLAZIONE REGIONALE
(Responsabili: prof. Giovanni Pascuzzi e dott.ssa Alessandra Barana)


L’occupazione abusiva di terre d’uso civico è una situazione antigiuridica che può essere sanata, ai sensi dell’art. 9 della legge 16 giugno 1927 n. 1766 che attualmente disciplina la materia, attraverso l’istituto della legittimazione qualora l’occupatore abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie ai territori, quando il possesso duri da almeno un decennio e la zona occupata non interrompa la continuità dei terreni.
Tale istituto, peraltro non nuovo poiché tracce dello stesso si rinvengono già nella legislazione napoletana (decr. 10 marzo 1810) e in quella siciliana (decr. 11 dicembre 1841), è senza dubbio singolare quanto alle finalità che persegue in quanto costituisce una sorta di espropriazione di beni pubblici per interesse privato (a scapito dell’interesse pubblico), e per di più compiuta a favore di chi abbia illegittimamente occupato terre del demanio civico.
Esso tuttavia si giustifica nell’esigenza di temperare il principio dell’inalienabilità ed imprescrittibilità dei terreni demaniali, la cui rigorosa applicazione, in determinati casi, produrrebbe conseguenze inique; in esso quindi si ravvisa una sorta di premio per i coltivatori che hanno migliorato le terre.
Nel corso del XIX secolo e dei primi anni del XX si è assistito ad un succedersi di provvedimenti legislativi in tema di terre civiche contenenti criteri volti ora a restringere ora ad ampliare l’ambito di applicazione dell’istituto. L’intento del legislatore del 1927, quale risulta dalla Relazione al Senato, era quello di porre un freno al dilagare delle legittimazioni; tuttavia nel testo definitivo della legge, al citato art. 9, si rinvengono condizioni meno stringenti rispetto a quelle previste dai decreti del 1924, convertiti in legge; condizioni che vengono poi ulteriormente ampliate dalle previsioni del Regolamento di applicazione della stessa (art. 25 del R.D. n. 332 del 1928).
Tale stato di cose è visto con preoccupazione dalla dottrina, benché in seno ad essa non manchino pareri contrari, in quanto l’eccessivo ricorso alle legittimazioni mette a rischio la consistenza dei beni comunali, in danno dell’interesse della stessa collettività.
All’eccessivo lassismo legislativo si sarebbe potuto ovviare attraverso un sapiente e consapevole uso dei poteri discrezionali riconosciuti dalla legge ai Commissari per gli usi civici (posto che la stessa legge classifica la legittimazione, non quale diritto soggettivo, ma quale atto di discrezionalità amministrativa del Commissario), tuttavia la prassi dei Commissari, e poi delle Regioni, a seguito del trasferimento a queste ultime delle funzioni amministrative dei primi (con il decreto del 1977), ha mostrato eccessivo favore nei confronti della legittimazione, divenuta un modo quasi normale di sistemazione dei beni occupati, e concessa talora anche oltre i limiti posti dalla legge, e ciò soprattutto a causa del mancato uso del potere discrezionale.
La ricerca quindi si propone:
preliminarmente, di analizzare l’istituto della legittimazione nei suoi vari profili alla luce di dottrina, giurisprudenza e legislazione vigente, con speciale attenzione alla legislazione regionale, in considerazione del fatto che una delle questioni più urgenti che i legislatori regionali si sono trovati ad affrontare a seguito del trasferimento di competenze legislative in materia di usi civici, operato con i decreti del ’72 e del ’77, è stata quella della sistemazione delle occupazioni abusive delle terre demaniali;
successivamente, di elaborare osservazioni e fornire spunti di riflessione in merito all’istituto e all’attualità delle problematiche ad esso relative.