Appare ormai accettato dai cultori della materia che il sintagma “assetto fondiario collettivo” debba essere impiegato nel significato del caso in cui i componenti di una comunità insediata in un territorio hanno il diritto di usare il medesimo terreno, ciascuno per proprio conto, singolarmente o in maniera associata, al fine di trarre utilità. Si tratta, quindi, di un preciso ordinamento, già chiamato proprietà collettiva od anche organizzazione familiare montana, esteso con l’art. 3 della legge 97 del 1994 all’intero territorio nazionale. Giova, peraltro, precisare che la locuzione assetto fondiario collettivo non va confusa con il significato del caso in cui alcuni individui lavorano la stessa terra, sotto una medesima direzione, e mettono in comune il ricavo: trattandosi, in questo caso, della conduzione cooperativa o collettiva.
Nella generalità dei casi l’assetto fondiario collettivo si presenta come un’unità oggettiva, la terra di collettivo godimento (il c.d. demanio civico), tradizionalmente a destinazione agro-silvo-pastorale, ma anche con qualità di terreni agrari e corpi idrici, con a fianco una unità soggettiva (l’unità di gestione) che si incentra in un ente di gestione espresso dalla comunità locale.
Degli assetti fondiari collettivi, alcuni autori, privilegiando,’attenzione sull’unità soggettiva, hanno sostenuto la natura di enti neo-istituzionali responsabili di una particolare organizzazione di regolamentazione, di sfruttamento e/o di valorizzazione delle risorse naturali; altri autori, privilegiando, invece, l’esame dell’unità oggettiva, hanno messo in evidenza la natura di un organismo complesso generatore di flussi di materie prime, di energie, di servizi naturali finali.
Dal punto di vista della produzione e, conseguentemente delle direttive che si perseguono per realizzarla, l’assetto fondiario collettivo è da considerare come un’entità unitaria nel grande tessuto di un territorio, la quale può concretare lo stesso risultato produttivo immediato, ma non lo stesso risultato di perennazione nel tempo.
Talvolta, infatti, il suolo del demanio civico può presentarsi come un’area di sfruttamento delle risorse naturali e gratuite, più o meno abbondanti, nel qual caso si avvicina ad una specie di industria estrattiva oppure estrattiva-trasformatrice, che, servendosi di lavoro umano e di capitale, traduce in beni finiti o intermedi la ricchezza naturale della terra, indipendentemente da ogni considerazione della perpetuità della produzione della miniera, anche perfino alla distruzione dello stesso demanio civico. Come tale, l’organizzazione è necessariamente limitata nel tempo, poiché coll’esaurirsi dello stock di risorse o della fertilità della terra, pur essa attenua le sue funzioni, fino al limite che se ne può prospettare l’abbandono.
Allorché, invece, l’ente di gestione si è costituito come centro intellettivo di attenzione e di valutazione, quale superiore regolatore delle potenziali funzioni del patrimonio naturale, la gestione del demanio civico è dominata dal fine di ottenere il più conveniente prodotto continuativo perpetuo.
Come è ampiamente documentato, la conduzione delle terre di collettivo godimento, vincolate dalle legge al non mutamento di destinazione, si è basata, tradizionalmente, su uno schema organizzativo universale – il che non significa uguale per tutte le regione geografiche – la cui sostanza è stata quella di garantire i prelievi sulla natura da parte delle attività primarie: l’agricoltura, la silvicoltura, le attività estrattive, le industrie collettrici (caccia, pesca, raccolta di funghi, ecc.) sotto l’impulso della forza intellettiva e regolatrice dell’uomo “agricoltore”, non già dotato di facoltà creatrici e neanche trasformatrici, ma semplicemente della facoltà di dirigere, attivare e moderare, l’impulso delle forze naturali, preesistenti e coesistenti nella terra di collettivo godimento.
Di conseguenza, le risorse, rinnovabili (specie biologiche, acqua, ecc.) o non rinnovabili (materie estrattive, ecc.), sono state trattate prevalentemente come singoli elementi naturali: il che ha implicato scelte di allocazione di usi per assicurare, tutt’al più, la disponibilità futura della risorsa. Ed, infatti, è essenzialmente all’obiettivo puramente aziendalistico-commerciale che ha mirato la ricerca scientifica, pur tanto diligente ed approfondita, e, quindi, unicamente alla terra come fattore di produzione di beni finiti o intermedi ed al particolare sistema tecnico della produzione ed alla sua economicità diretta ed immediata, determinata dalle transazioni monetarie, e non a quella indiretta e mediata, definita dalla prospettiva temporale di equità intergenerazionale, quale esige, invece, il concetto di patrimonio civico.
Tuttavia, i cambiamenti nell’utilizzazione del suolo nei territori rurali, la grande rapidità del cambiamento stesso, la complessità del fenomeno urbano con le correlate modificazioni dell’ambiente rurale e, non ultimi, i fenomeni di inquinamento hanno rapidamente mutato il quadro tradizionale di riferimento. E per gli assetti fondiari collettivi, agli aspetti positivi derivanti dalla trasformazione dei territori rurali si contrappongono anche aspetti negativi, rappresentati dalle pressioni esercitate sugli elementi naturali (suolo, aria, acqua, specie biologiche) del demanio civico e sulla sopravvivenza stessa degli assetti fondiari collettivi.
Infatti, stante la priorità riservata all’analisi delle singole risorse naturali, è passata in secondo ordine l’attenzione che avrebbe dovuto essere riservata alla terra di collettivo godimento considerata sotto il profilo di ecosistema, e ciò, nonostante che l’economia dell’ambiente abbia richiamato ripetutamente l’attenzione non tanto sulla singola risorsa, quanto sull’attività che la impiega e sul modo con cui l’azione di certi individui intacca il benessere di altri individui. Ed è proprio su questo punto che la lacuna precedentemente lamentata è tanto più grave se si tien conto come la pratica, abbia tradizionalmente distinto l’analisi delle singole risorse naturali da quella del demanio civico, all’interno del quale possono coesistere ecosistemi diversi.
Ragion per cui, essendo l’ambiente divenuto attualmente un bene scarso e questa scarsità implicando conflitti d’usi, la terra di collettivo godimento, deve essere attentamente considerata e utilizzata come fattore complesso, fornitore come nel passato di risorse naturali, ma con pari attenzione presa in esame e attentamente valutata, soprattutto, come un bene di consumo in quanto erogatore di servizi naturali finali e, addirittura, come un ricettacolo di rifiuti.
Secondo la comune osservazione, attualmente, in un demanio civico possono individuarsi i seguenti ecosistemi: (a) suoli artificializzati (aree a parco peri-urbane, cave a cielo aperto, aree industriali, aree attrezzate, aree sportive); (b) suoli agricoli (terre lavorabili, prati, pascoli); (c) suoli forestali (fustaia, ceduo, castagneto, sughereta, formazioni rupestri, formazioni riparie); (d) suoli poco artificializzati (pascoli alpini, altri spazi con vegetazione, spazi senza vegetazione); (e) corpi idrici (corsi d’acqua, laghi, serbatoi artificiali, nevai e ghiacciai perenni). E sono proprio questi ecosistemi che erogano le utilità derivanti dalle funzioni: (a) ambientali (regolazione dei cicli biogeochimici, conservazione della natura, captazione delle sostanze inquinanti, protezione idro-geologica, conservazione dei geni, biodiversità, ecc.); (b) ricreative a carattere rigenerativo e/o a carattere attivo/sportivo; (c) estetico-paesaggistiche (paesaggio naturale, paesaggio curato, amenità, attrattive, quadro di vita piacevole, ecc.; (d) culturali (potenziale di informazione ecologica, storica, sociale).
Da qui l’attenzione che deve essere riservata all’analisi degli ecosistemi esistenti nel demanio civico, per un verso, per quanto attiene ai potenziali conflitti d’uso e, per un altro verso, in ragione della potenziale rendita da ricondurre agli assetti fondiari collettivi, stante la loro capacità di endogeneizzare anche gli stimoli provenienti dall’esterno della comunità locale per la mobilitazione delle risorse interne, di trattenere in loco effetti moltiplicativi, di sostenere gli indotti nella manifattura familiare, artigianale e nel settore dei servizi del sistema locale.
La scelta del tema generale “Assetto fondiario collettivo: Struttura e performances di una entità complessa - non studio del passato, ma mediazione tra presente e passato in vista del futuro –” è stata adottata col proposito di approfondire la conoscenza e la comprensione di un sistema complesso definito da un insieme di elementi interconnessi e con l’obiettivo di porne nel dovuto risalto l’individualità auto-organizzata, in luogo di un complesso di applicazione meccanicistica e mercantile di regole etero-definite.
L’obiettivo, che si propone di studiare e di coordinare nella loro essenza e funzione le parti diverse che nel loro insieme costituiscono l’assetto fondiario collettivo, emerge da un materiale di osservazione, di ricerca e di sperimentazione così copioso e probativo, da lasciare ritenere giusto il momento di una necessaria revisione del pregiudizio ideologico contro la proprietà collettiva e dell’opinione secondo cui la proprietà collettiva è fonte di inefficienza, correntemente riconosciuti dalla concezione speculativa.